SOGNO DUNQUE SONO / Settimana 4

Scritto da Barbara Cassioli
il 3 Dicembre 2024

E’ il tre di dicembre.
Sono davanti alla spiaggia di San Ferdinando, in Calabria, uno dei luoghi più atroci e drammaticamente belli della regione (per me), scrivo con la porta del furgone aperta sul mare di cui sento il fruscio e penso che è un mese (meno due giorni) che sono in viaggio, sono senza calzini e non sono assolutamente pronta a tornare ad un inverno appenninico.

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Lo scrivo tutto d’un fiato e mi fa bene.
Mancano ancora quasi 20 giorni al ritorno a casa. Ci manca tutta la Sicilia e soprattutto Lampedusa, scoglio da cui manco da cinque anni e che quanto a bellezza e atrocità non scherza.

Chi ha letto (o ascoltato) le altre newsletter, o mi conosce, sa che questo viaggio non sta andando come me lo aspettavo.
Non sto ancora capendo perché, cosa avrei dovuto fare diversamente, quali sono le ragioni e soprattutto cosa mi sta donando.

Sono visceralmente convinta che (quasi) tutto sia una occasione. Parlo di me, della mia storia di vita di donna certamente privilegiata da tantissimi punti di vista, ma è quel che sono e alla soglia dei 40 ho solidamente scambiato l’inutile senso di colpa con una bella dose di gratitudine e un senso di responsabilità.

“Cosa mi sta insegnando tutto questo?” è la domanda che cerco di farmi quando le cose non vanno come volevo. Sono curiosa come una scimmia e fatico a stare nell’incertezza. Vorrei che fosse tutto chiaro, nitido, definito così per poter passare all’azione un’altra volta. Invece c’è sempre una fase di riflessione e sospensione e mi ci tocca starci dentro.

Quando mi prendo il tempo di praticare al risveglio, tutto diventa più semplice: a volte lo faccio, altre volte no. Ma oggi l’ho fatto e dunque scrivo da un posizione molto più centrata e nutrita e vi racconto questa quarta settimana di viaggio.

Siamo rimasti in Calabria con mia e nostra somma gioia che resta, pur consci delle grandissime difficoltà, uno dei miei luoghi del cuore preferiti. Bellissima. Drammatica (ho già usato questo aggettivo, lo so, abbiate pazienza!). Rude. Sporca. Selvatica. Antica. Violenta. Abbandonata. Pittoresca. Calabria.
E’ un posto in cui ho vissuto qualche mese e nel quale pensai di restare, prima degli anni pandemici, poi l’Appennino ha preso possesso del mio cuore e della mia residenza. Ma non si sa mai nella vita.

Comunque, siamo in Calabria e abbiamo visitato tre realtà (+ una bonus a sorpresa!)

Mentre organizzavo il viaggio, qualcuno che non mi ricordo chi fosse, mi ha segnalato il borgo di Camini. Dal primo contatto telefonico, il referente della cooperativa aveva espresso disponibilità ad accoglierci durante questo viaggio e così abbiamo preso qualche giorno per visitare il paese ma soprattutto per ascoltare la storia di un sogno che si è trasformato in realtà.
Camini è uno dei tanti borghi interni della Calabria, e d’Italia, spopolato. Le persone lasciano la montagna per trasferirsi dove il lavoro è più facile da trovarsi e i servizi sono migliori. E’ una tendenza di massa dal dopoguerra, un tema che conosciamo bene abitando in un paesino del tutto simile a questo.
La massa se ne va, qualcuno resta e qualcuno poi torna oppure lo sceglie.
Giusy e Rosario non se ne sono mai andati, si sono conosciuti a scuola e a Camini si sono sposati e sono rimasti. Hanno creato, 24 anni fa, una cooperativa di servizi per poi, nel 2011 iniziare ad aprirsi all’accoglienza di persone richiedenti protezione internazionale. Volevano ospitare famiglie, ma i primi che sono arrivati erano uomini soli dell’Africa dell’ovest: è andata bene comunque ed è stato l’inizio.
Si sono resi conto che l’accoglienza potesse essere una scelta win-win-win per i migranti, per il paese e per gli autoctoni e così hanno iniziato ad occuparsi delle persone, delle relazioni e del territorio. A Camini, come in tanti borghi abbandonati, c’erano molte case vuote e da ristrutturare: le hanno ristrutturate. A Camini, mancava la scuola ma quando hanno iniziato ad esserci bambine e bambini, l’hanno costruita. A Camini, avevano già chiuso diversi negozi per mancanza di clienti, ma da quando è iniziato il progetto, quelli che erano aperti lo sono rimasti. E poi hanno aperto laboratori creativi e artigiani, un bar, un ristorante, 118 posti in accoglienza e ancora di più per turisti lenti e consapevoli, gruppi di scout e persone che, da tutto il mondo, vengono a vedere quello che ormai è un modello. Un progetto armoniosamente integrato alla comunità locale e al territorio. Si respira un’aria di famiglia: i bambini e le bambine corrono nei vicoli del paese e per gli adulti, con alle spalle una terribile storia di migrazione, è rassicurante.
Per alcune di queste famiglie, Camini è una tappa del proprio progetto migratorio, per altre diventa casa: dei 500 residenti, la metà sono persone di origine straniera, in accoglienza o residenti.

Questa tappa è stata un’altra di quelle in cui avrebbe avuto senso restare, ma già due giorni sono stati sufficienti per visitare i tanti laboratori attivi, essere ospitati da una famiglia tunisina, innamorarsi del luogo e immaginare di tornare.

Prima di tornare, però, è tempo di proseguire il viaggio. Con non poche difficoltà organizzative, abbiamo incontrato, di nuovo, anche Mimmo Lucano a Riace. Un borgo che è stato faro ed ispirazione per Camini ma che ha vissuto un’esperienza totalmente diversa. Al momento, camminare per Riace è doloroso per me: polvere, lavori di ristrutturazione fermi, lo strascico di un’epoca che fu. Non mi sento di avere esperienza a sufficienza per dilungarmi su questo punto e su questa storia che è complessa e articolata. Ci sono molti libri sul modello Riace che comunque resta la dimostrazione che SI PUO’ FARE e se si può fare in un paesino dell’entroterra calabro, probabilmente si potrebbe fare in tanti altri paesini e in tanti altri luoghi, qualora ci fosse la volontà e la determinazione.
Riace forse è solo in pausa, forse rinascerà, forse cambierà pelle. Non ha comunque perso la sua identità e la speranza resta accesa.

Ed è proprio la speranza quella che ci porta alla tappa successiva: Gioiosa Ionica.
Ho abitato in questa zona cinque anni fa perché ho lavorato in una cooperativa che faceva agricoltura sociale, incontrata durante il mio viaggio senza soldi.
Cinque anni sono pochi e sono moltissimi, può cambiare tutto nella vita delle persone e dei progetti.
Gioiosa, possiamo dirlo, non è poi particolarmente bella, ma le voglio un gran bene e tornarci per me è sempre motivo di gioia e benessere.

Siamo tornati per andare a trovare i miei ex colleghi. Si sono distaccati dal progetto per creare una propria azienda agricola: BARRACCA.
Se lavorare in agricoltura non è un scelta scontata.
Se restare in Calabria non è scontato.
Allora, avviare un progetto di agricoltura in Calabria come ex detenuto lo è ancora meno.
Questo hanno fatto.
Agrumi, olio, derivati prodotti in maniera biologica e “spacciati” in giro per l’Italia grazie alla collaborazione di Assalto al cielo, una realtà romana e di tanti clienti che, ogni giorno, rifiutano la grande distribuzione (i supermercati) scegliendo un progetto sostenibile dal punto di vista umano ed ambientale.

Cooperativa agricola Barracca al Mercato della Terra: gli agrumi della seconda chance – Slow Food Roma 

Mi fa riflettere, come dopo la nostra visita a Rosarno, quanto con le nostre scelte alimentari e di consumo possiamo impattare nella esistenza di altri esseri umani, oltre che viventi in generale.
Per cui colgo l’occasione di questa email per chiedervi: cosa acquisto? Da chi? Conosco chi sta producendo il cibo che mangio? Sono certa di non stare alimentando, per esempio, il lavoro nero e lo sfruttamento di bracciati in sud Italia? 
La risposta la possiamo avere solo conoscendo direttamente chi produce, andando sul campo, oppure facendo la spesa attraverso i G.A.S. (gruppo di acquisto solidale) o i mercati contadini come Campi Aperti a Bologna.
Richiede impegno, sforzo a volte, scelta ma ogni volta che ci è possibile (oltre all’autoproduzione e alla raccolta di erbe spontanee) possiamo fare la differenza con quello che mangiamo.

A proposito di mangiare, giungo così all’ultima tappa di questa settimana.
Ieri a pranzo abbiamo deciso di regalarci un pasto in un ristorante che io ricordavo con piacere: La collinetta. Siamo a Martone, nella zona di Gioiosa Ionica. Posto incredibile, ma, si sa, io sono di parte!

E’ noto per i suoi antipasti composti da 15 portate, ma nel nostro cuore da ora in poi sarà ricordato, oltre che per l’alta qualità dei prodotti, per la piacevolissima conversazione con Pino, l’ideatore, il sognatore, l’imprenditore. Ci ha raccontato la sua storia di libertà, resilienza e coraggio in un territorio che facile (lo abbiamo già detto) non è.
Pino ha aperto il ristorante, ma anche un’azienda agricola nel terreno di famiglia, un’associazione che si occupa di persone con disabilità e fragilità e tutto questo l’ha fatto, da sempre, fin da bambino, rifiutando la criminalità organizzata, ribellandosi al pizzo e raccontando la propria storia e la propria scelta, trovando alleanza con il gruppo cooperativo Goel e continuando a seguire il proprio sogno, ad averne cura.

E’ stimolante l’incontro con quest’uomo che ci parla di sogni senza sapere nulla di questo viaggio e di questo progetto. E’ stimolante e un po’ magico perché arriva con grande spontaneità in una mattinata un po’ complessa in cui abbiamo scelto, perché sì alla fine di sceglie, di seguire il piacere: il piacere di un pasto in un posto bello. Abbiamo trovato molto, molto di più, oltre alla dimostrazione vivente che quando si molla il controllo e si segue il piacere si trova abbondanza.