SOGNO DUNQUE SONO / Settimana 3

Scritto da Barbara Cassioli
il 27 Novembre 2024

Se vuoi ascoltare questo articolo, ecco la registrazione
Altrimenti, continua a leggere.
In entrambi i casi, ti serviranno circa 10/15 minuti.

In viaggio, ho spesso la sensazione che dopo i primi giorni, densi, complessi (non per forza in senso negativo), il tempo inizi a rotolare: è un effetto valanga in cui le ore si amplificano e le settimane sembrano mesi ma al tempo stesso scorrono velocissime.

Sono tre settimane, sembra una vita ma al tempo stesso mi sembra di essere partita ieri.

Non è stato un viaggio semplice, finora.
Non è stato uno di quei viaggi in cui tutto scorre magicamente e accadono magie.
Per niente.

Eppure sono rimasta ed è rimasto anche LUI e sono comunque successe cose molto belle anche questa settimana.

Oltre ad un re-incontro importantissimo per la mia vita e la mia esistenza amicale che ha richiesto e smosso molto a livello emotivo, ci sono state tappe del viaggio molto molto importanti.

Siamo stati a pranzo da Alba Battista, chi ha letto il libro “Di questi tempi”, sicuramente ricorda l’entusiasmo, l’ospitalità e l’impegno che aveva offerto durante il primo viaggio.
E’ molto merito del nostro primo incontro, se nel mio cuore è diventato chiaro -e possibile- proporre dei laboratori nelle scuole sul tema del viaggio, prima, ora del sogno come strumento evolutivo e agente di cambiamento individuale e sociale.
Questi cinque anni non sono stati facili, forse per nessuno che ho re-incontrando durante queste tappe e nemmeno per Alba che però è stato molto bello riabbracciare col suo sorriso, la sua tenacia e la sua voglia di vivere e offrire al mondo, ed in particolare ai giovanissimi e alle giovanissime tutti gli strumenti possibili per affrontare la vita e costruire una società più equa, più giusta.

Il nostro è stato un pranzo insieme e ancora una volta ho percepito tanta velocità nelle tappe di questo viaggio, troppa (e sì, forse questo è uno spoiler di qualcosa che avverrà più avanti, ma per ora tienila lì solo come una percezione tattile e vai pure avanti nella lettura).

Così, sotto la pioggia battente di una Calabria che ci ha accolto con basse temperature, vento forte e acqua, siamo giunti a Lamezia ed in particolare alle Terme di Caronte, tappa “quasi” fissa per le peregrinazioni calabresi.

E’ stato dopo una serata piacevolissima ammollo nell’acqua calda che ho ritrovato le operatrici e gli operatori di Progetto SUD, una associazione che avevo incontrato nel 2019 per il fatto che gestisce dei beni confiscati all’ndrangheta e ha diversi servizi a favore di persone in condizione di fragilità.
La caratteristica però che mi colpisce subito, nella chiacchierata mattutina con Marina è che l’origine del progetto: non nasce infatti per gestire servizi ma per essere un’agente di cambiamento. Non nasce per fare, ma per fare grazie ad un essere, che è radicalmente differente.
Il progetto è stabile, è grande, e cinque anni fa mi avevano permesso di incontrare diversi progetti di accoglienza che esistono ancora. Il loro raggio d’azione è ampio e articolato eppure ho di nuovo la sensazione di trovarmi in un ambiente famigliare, accogliente, caldo.

E’ proprio a progetto SUD, un po’ come è stato a scuola di Alba, che accade un altro passaggio cruciale. Finora ho proposto il laboratorio “sogno dunque sono” in vari contesti, ma non l’ho mai rivolto, esplicitamente, a persone in situazione di emarginazione sociale eppure è l’ambito lavorativo da cui io provengo e quello in cui ho maturato, senza dubbio, la maggiore esperienza. Probabilmente, è anche dove è rimasto un gran pezzo del mio cuore e del mio…posto.

Penso che ognuno di noi abbia un posto, o più di uno.
Uno spazio in cui ci si sente “a casa”, una missione, si può dire, per cui si è arrivati al mondo.
Sabato mattina ho proposto per la prima volta “sogno dunque sono” ad un gruppo di circa venti persone, tra uomini, donne e ragazzi minori stranieri non accompagnate o inseriti all’interno di una comunità terapeutica per il trattamento di un problema di dipendenza.
E ci ho visto persone, ovviamente, prima di tutto persone, anche per un attimo mi è passato per la mente il pensiero: “Non è troppo naif portare in questo contesto il concetto di ‘sogno’?” ma è stato un lampo molto veloce perché ho sentito di nuovo i miei piedi ben saldi a terra e ho pronunciato una parola: rivendicare.
Rivendicare mi piace moltissimo: mi riporta ad andarsi a prendere, a riprendere qualcosa che è nostro per diritto di nascita.

Indipendentemente dalla situazione difficile o meno difficile in cui ci troviamo, restiamo persone col diritto di sognare.
Per lunga esperienza lavorativa ed umana riconosco la disparità del punto di partenza e l’esistenza di un privilegio che rende alcune esistenze, per alcuni aspetti, più semplici di altre ma con fiducia e consapevolezza scelgo di posizionarmi e affermare che il sogno resta e va difeso come un diritto umano, a prescindere.

Sogno perché sono (VIVO, VIVA).
Non sogno perché posso. Non sogno perché ho un lavoro. Non sogno perché faccio.

E’ molto simile al tema della meritevolezza, che ho esperito nel percorso con Sofie de la Vanth e che mi impegno a trasmettere durante i laboratori che conduco: sono meritevole perché esisto e perché sono meritevole, allora agisco.

La mia azione è imprescindibile per il raggiungimento di un obiettivo, per la realizzazione di un sogno non è sufficiente che io lo esprima a parole, ma la mia azione è figlia della mia capacità di sognare ovvero di vedere altro da quel che c’è, di avere una visione attivante, rigenerativa, trasformativa.

Ed è con questo intento che ho facilitato il laboratorio, ho condiviso le pratiche, abbiamo provato insieme a meditare, lasciarci muovere dal sogno, lasciarne traccia e poi su questo rotolo di carta che è partito con me e giungerà a Lampedusa arricchito dalle parole e dalle immagini di tutte le persone che io ho incontrato durante i workshop.
Così come anche in quella sede ho proposto il testimone. A favore di Mediterranea, ho deciso di organizzare questo viaggio e questi ateliers creativi usando il mio tempo e le mie capacità, e tu, e voi? Cosa potreste fare per raccogliere fondi per l’associazione con l’unica nave italiana nata dall’impegno della società civile che si occupa di monitoraggio e salvataggio nel centro del Mar Mediterraneo?

Ci siamo salutati così, con un pranzo comunitario e un sincero reciproco “in bocca al lupo” e siamo ripartiti in direzione della terza edizione del Rosarno Film Festival in cui ho potuto ritrovare sia Peppe Pugliese di SOS Rosarno sia Francesco Piobbichi di Mediterranean Hope.

Li incontrati entrambi durante il viaggio del 2019: il primo tra qui e San Ferdinando, il secondo sull’isola di Lampedusa.
Del primo avevo continuato a ricevere alcuni aggiornamenti, grazie al fatto di essere una delle partecipanti ad un G.A.S. (gruppo acquisto solidale) della montagna che si rifornisce di agrumi e altre prelibatezze proprio da questa associazione calabrese. Del secondo, avevo continuato ad ammirare le illustrazioni e saputo del suo spostamento in questa regione ed in particolare in questa che è una delle zone a più alto tasso di sfruttamento lavorativo ed ambientale.
Il fatto che siano ora strettamente connessi a livello lavorativo non è un caso ed è una notizia bellissima.

Infatti, in soli cinque anni noto molti cambiamenti: è nata Dambe So – la casa della dignità, un ostello solidale che accoglie braccianti stranieri durante la stagione invernale e turisti etici, lenti, consapevoli in estate.
E’ un spazio che vuole dimostrare che uscire dal “ghetto” è possibile ed auspicabile. La situazione della piana di Gioia Tauro era drammatica cinque anni fa e lo è ancora: la tendopoli di San Ferdinando, se possibile, è in condizioni ancora peggiori di quando ci passai io la prima volta, ma Mediterranean Hope ha costruito, in collaborazione, con SOS Rosarno un progetto abitativo che riconosce la dignità dei lavoratori migranti, oltre a fornire loro servizi quali lo sportello legale, la scuola di italiano, proposte culturali, anche grazie ad un gruppo di persone volontarie del territorio.
La base di SOS Rosarno è ancora più solida, più persone possono lavorare legalmente e dignitosamente per il progetto, più piccoli produttori biologici sono coinvolti e la rete di persone che scelgono, in tutta Italia, di acquistare i loro prodotti è sempre più grande e colgo l’occasione di questa “lettera” per suggerirti di cercare, intorno a te, il primo G.A.S. o mercato in cui puoi trovare i loro prodotti: sono di ottima qualità e hanno il gran valore di essere frutto di un lavoro libero dallo sfruttamento e dalla violenza.

Per me, son stati giorni intensi, ricchi e mi rendo conto che una newsletter non può bastare, tanto meno in queste settimane in cui trovo impossibile comunicare su una piattaforma veloce come Instagram e allora mi interrogo su quale strumento può essere giusto per raccontare queste storie e le riflessioni che questi incontri implicano.

Serve più tempo, più spazio.
Servono più parole, le mie amatissime parole.

Nutro fiducia nel viaggio che spesso dà le risposte giuste, anche quando meno se li cerca.

Continuo ad andare in ricerca dei progetti che con costanza e impegno creano cambiamento in Italia e nel mondo e te li racconto.

Grazie, del tuo ascolto e della tua presenza.

Ti mando un abbraccio,
Barbara